Il 17 dicembre 2024 la SOA è stata audita dalla II commissione del Consiglio regionale nel corso dell’esame del disegno intitolato “Misure urgenti per l’individuazione di aree e superfici idonee e non idonee all’installazione e promozione di impianti a fonti di energia rinnovabile, e per la semplificazione dei procedimenti autorizzativi” di cui si prevede l’approvazione nei primi mesi del 2025.

La legge regionale è chiamata ad attuare il cosiddetto Decreto Aree Idonee del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica del 21 giugno 2024, a sua volta attuativo di un decreto legislativo del 2021(n. 19), che ha recepito in Italia la direttiva (UE) 2018/2001 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili. Nelle aree che le Regioni stabiliranno essere idonee è previsto un iter accelerato e agevolato per la costruzione ed esercizio degli impianti eolici e fotovoltaici e delle infrastrutture connesse. Dovrebbe essere in queste aree che si gioca l’importante partita di accrescere significativamente l’apporto delle energie rinnovabili per raggiungere gli obiettivi del Green Deal, che prevede si giunga a un minimo del 42,5% del consumo totale entro il 2030, vale a dire quasi il raddoppio dell’attuale quota di energie rinnovabili nel territorio dell’Unione. Per l’Abruzzo l’obiettivo di potenza aggiuntiva, fissato annualmente, dovrà progressivamente giungere a una sovrapproduzione di 2092 MW nel 2030. Nell’individuare questi siti, le Regioni devono privilegiare l’utilizzo di superfici di strutture edificate, quali capannoni industriali e parcheggi, nonché di aree a destinazione industriale, artigianale, per servizi e logistica, e verificando l’idoneità di aree non utilizzabili per altri scopi. A titolo esemplificativo, aree come le cave e le miniere cessate o ripristinate, i siti a ridosso di ferrovie e autostrade, quelli ove già insistono impianti per energie rinnovabili.

Tra gli obiettivi del Green Deal, di cui la transizione energetica deve tenere conto, altrettanto importante, infatti, è “Strategia sulla Biodiversità”, che prevede non solo la tutela dei territori ove le specie animali sopravvivono, ma anche il ripristino degli ambienti naturali e degli ecosistemi. Le centrali eoliche e fotovoltaiche contribuiscono sensibilmente ad affrontare il cambiamento climatico, ma hanno anche un impatto sugli ecosistemi, sugli habitat e sulle specie protette dalle Direttive Natura dell’UE (Direttiva Habitat 92/43/CEE e Direttiva Uccelli 2009/147/CE), compresa l’avifauna. Gli uccelli sono particolarmente vulnerabili al problema a causa del rischio di sottrazione dei loro habitat di riproduzione e/o di alimentazione e/o di sosta durante la migrazione e di collisione contro le turbine, come abbiamo rappresentato nel corso dell’audizione.

Anche per questa ragione le disposizioni nazionali, ai fini dell’individuazione delle superfici e delle aree idonee per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili, pretendono il rispetto dei principi della minimizzazione degli impatti sull’ambiente, sul territorio, sul patrimonio culturale e sul paesaggio e la tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, delle aree agricole e forestali, della qualità dell’aria e dei corpi idrici. In ragione di questi principi vi sono aree da considerare inidonee a localizzare questi impianti e dove è vietato accogliere eventuali richieste da parte delle imprese. Alcune categorie sono individuate direttamente dallo Stato e sono quei beni paesaggistici che secondo il Codice dei beni culturali e del paesaggio possiedono cospicui caratteri di bellezza naturale, singolarità geologica o memoria storica, inclusi gli alberi monumentali, nonché le ville, i giardini e i parchi che si distinguono per la loro non comune bellezza. Spetta, però, a ogni Regione individuare, con propria legge, le ulteriori aree inidonee.

È importante notare che, oltre alle aree idonee e a quelle inidonee, vi sono le cosiddette aree ordinarie. La sola differenza tra queste ultime e le aree idonee è che nelle prime i procedimenti sono meno rapidi e il parere dell’autorità competente in materia ambientale resta in linea di principio vincolante. Detto questo, è facile prevedere che molti dei tanti progetti che dovranno essere realizzati andranno a localizzarsi nelle aree ordinarie, sia perché è probabile che quelle dichiarate idonee non siano sufficienti sia perché è presumibilmente più comodo e meno costoso per le imprese utilizzare aree inedificate. Di qui l’importanza e la delicatezza del compito affidato alle Regioni di determinare in modo “chiaro ed evidente”, recita il decreto ministeriale, la classificazione delle aree e in particolare di quelle inidonee. Si consideri che la sola Regione che ha sinora approvato la propria legge regionale, la Sardegna, ha di fatto reso inidoneo agli impianti quasi l’intero territorio regionale.

La Regione Abruzzo nella proposta presentata va, invece, nella direzione opposta, limitandosi ad aggiungere alle suddette bellezze naturali tra le aree non idonee quelle «sottoposte a misure generali di conservazione da parte della Regione Abruzzo» e le «aree agricole che ricadono in almeno uno dei seguenti casi: a) aree agricole irrigue “, cioè, per esempio, i campi di mais o “c) le aree agricole con colture permanenti quali: vigneti e frutteti”. In pratica i campi di mais o di erba medica verrebbero tutelati, mentre le aree collinari e montane dove vivono Orsi, Aquile reali e altri uccelli rapaci potrebbero essere compromesse.

Non è chiaro, inoltre, quali siano le suddette “misure di conservazione poste dalla Regione Abruzzo” e a quali aree si riferiscano. Il che, da una parte, sembra lasciare fuori dall’elenco delle aree non idonee una serie di territori protetti di alto valore ambientale e paesaggistico dall’altra parte non risponde alla precisa indicazione del decreto ministeriale di rendere chiara ed evidente la possibile classificazione delle aree. Non solo, quindi, in tal modo non si garantisce alle imprese la certezza del diritto necessaria agli investimenti, ma si pongono le premesse per innescare contenziosi dinanzi alle interpretazioni degli apparati amministrativi regionali, chiamati a istruire le richieste di autorizzazione.

Nell’audizione la SOA ha sostenuto che occorre inequivocabilmente includere nelle aree non idonee, provvedendo alla loro esatta mappatura, almeno:

a)            i siti della rete Natura 2000;

b)            le aree sottoposte a misure di conservazione (zone A1 e A2) dal Piano Regionale Paesistico;

c)            le aree individuate dal P.A.T.O.M. (Piano di Azione per la Tutela dell’Orso Marsicano) sottoscritto e approvato dalla Regione Abruzzo;

d)            le aree tutelate in qualità di Beni di Uso Civico;

e)            le aree I.B.A. (Important Bird Areas) riconosciute anche dall’UE come aree con specifiche misure di conservazione;

f)             Le aree tutelate per legge ai sensi dell’art. 142 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, vale a dire:

a.            i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare;

b.            i territori contermini ai laghi compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i territori elevati sui laghi;

c.            i fiumi, i torrenti, i corsi d’acqua iscritti negli elenchi previsti dal testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative sponde o piedi degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna;

d.            le montagne per la parte eccedente 1.200 metri sul livello del mare;

e.            i ghiacciai e i circhi glaciali;

f.             i parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di protezione esterna dei parchi, o almeno le zone A e B della rispettiva zonazione;

g.            i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento, come definiti dagli articoli 3 e 4 del decreto legislativo n. 34 del 2018;

h.            le aree assegnate alle università agrarie e le zone gravate da usi civici;

i.             le zone umide incluse nell’elenco previsto dal d.P.R. 13 marzo 1976, n. 448;

j.             le zone di interesse archeologico.

Per tutte (o almeno parte di) queste aree manca, inoltre, il riferimento a un buffer di inidoneità, per esempio di 500 metri per gli impianti fotovoltaici e 3 chilometri per gli impianti eolici.

Continueremo a seguire la vicenda, anche predisponendo proposte di emendamenti, per contribuire a ricondurre il disegno di legge nei binari della tutela dell’ambiente e della biodiversità.

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